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Franco Mazzoccoli, 24 novembre 2010, ore 13:00

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Noi diciamo che se è giusto che si scrivano i libri su di un pittore o altri, ed è giusto che si sappia chi erano e com’erano in quel periodo i papi, i principi, i condottieri, i filosofi, gli altri artisti contemporanei, è anche importante che si cerchi di sapere chi erano e come vivevano quelli che non erano importanti e che non facevano notizia. (Ettore Guatelli)

L'arte di incidere sul legno per ottenere numerosi esemplari di ogni copia si diffuse in Europa nei primi anni del XIV secolo. Timbri e incisioni su legno o metallo furono inizialmente adoperati per riprodurre immagini sacre e carte da giuoco. I primi stampatori, per proteggersi dalla concorrenza, tennero segrete le loro attività; il mestiere era riservato e organizzato con criteri massonici, tanto da essere definito "arte nera". D'altra parte, mistero e sorpresa sono direttamente connessi ai procedimenti di stampa: "la carta viene passata su una superficie discontinua e incoerente riflessa a specchio, che istintivamente produce testo e immagini ricchi di significato". Con l'invenzione dei caratteri mobili, pezzi di legno o di metallo variamente accostati per comporre un qualsiasi scritto detti anche tipi, l'arte della stampa registrò un enorme progresso. I caratteri mobili di metallo e il torchio di legno, utile a pressare i fogli su tipi inchiostrati, furono i due mezzi tecnici che permisero a Gutenberg di stampare la famosa Bibbia a 42 linee (1452/1455). Per il suo torchio, Gutenberg prese a modello la pressa di legno di un frantoio, azionata da una vite di legno e mossa a braccia.
La diffusione della stampa favorì la diffusione dei libri e degli stampati e permise la nascita delle biblioteche pubbliche a discapito di quelle private appartenute ai ricchi e al clero, i soli che potevano permettersi il lusso di acquistare i costosissimi codici manoscritti. L'espansione della tecnica tipografica ebbe in un primo momento un carattere artigianale legato all'opera di singoli maestri, che erano al tempo stesso disegnatori di caratteri, incisori, fonditori, compositori e spesso anche rilegatori, solitari o aiutati da pochi collaboratori curavano l'intero processo di uno stampato. In un secondo momento, grazie al progresso della tecnica e alla fabbricazione di nuove macchine, le tipografie cominciarono a usare tipi fabbricati in fonderie specializzate e assunsero un aspetto industriale. Nel dopoguerra, in Italia, con la ricostruzione e le scuole di avviamento professionale, le tipografie si diffusero anche nei piccoli centri a supporto delle piccole imprese commerciali e per la stampa di avvisi e modulistica comunale. Alla fine degli anni '60, l'introduzione del metodo offset (1900) con la composizione elettronica (processo che prevede l'impiego di lastre) soppiantò la vecchia tipografia con caratteri mobili, ma l'alto costo delle macchine telecompositrici non permise a tutti il passaggio alla nuova realtà, per cui molte piccole tipografie continuarono ad esercitare l'antica "arte nera" onorando la tradizione a caratteri mobili. Una di queste era la tipografia di Nicola Iannuzziello.

 

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Nicola era nato a Pisticci il 23 agosto 1910, secondogenito di una famiglia composta da sei figli. Suo padre, in quegli anni, aveva in gestione l’ufficio postale di Policoro, paese della costa jonica costituto allora dal castello del barone Berlingieri, da una chiesetta e da una fila di case che ancora adesso chiamano “i casalini”. Tutta la famiglia abitava a Policoro, pronta a trasferirsi ogni estate nella vicina Pisticci per evitare il contagio della malaria, così pericolosa e così temuta nell’immaginario collettivo che quando un treno si avvicinava alla stazione di Tursi-Policoro i viaggiatori chiudevano i finestrini. Solo Marcello Vincenzo Iannuzziello, il padre, rimaneva al suo posto di lavoro. Ancora oggi l’unica superstite della famiglia racconta di quando il barone organizzava le battute di caccia al cinghiale, dell’animazione del luogo, perché vi arrivavano tutti gli amici, e delle feste fra la povera gente del posto se il risultato era positivo e se la selvaggina ammazzata era numerosa.

Un giorno il capofamiglia conobbe il signor Paolo Passiatore di Montescaglioso, che gli propose di trasferirsi nel suo paese perché l’ufficio postale locale era rimasto sprovvisto del direttore. Il consiglio fu subito accolto e agli inizi degli anni trenta tutta la famiglia si spostò a Montescaglioso, nell’entroterra della Basilicata, nei pressi di Matera. L’unico a rimanere a Policoro fu Nicola Iannuzziello, che aveva una spiccata propensione per i lavori manuali e che divenne meccanico. Chissà quanti trattori dell’epoca avrà riparato data la perizia che gli fece guadagnare l'appellativo di mest’ N’col’ (maestro Nicola). Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Nicola, come altri, fu arruolato e le sue battaglie principali le svolse combattendo contro i pesci che venivano pescati e prontamente arrostiti su una brace ardente a Palinuro, dove fu inviato e dove incontrò soldati montesi con i quali fece amicizia e con i quali condivideva, a tavola, i pericoli della guerra. Ritornato a Policoro, lavorò, sempre come meccanico, presso l’Ente di Riforma agraria, recandosi, a bordo della sua Galletto della Moto Guzzi, a seconda delle richieste, di volta in volta a Scanzano Jonico, Recoleta, San Teodoro, Casinello, San Basilio. Però, dopo essersi sentito male e aver subito un intervento chirurgico, decise di non vivere più da solo e di riunirsi alla famiglia, trasferendosi definitivamente a Montescaglioso.

Da allora la sua costante preoccupazione fu la morte. Gli bastava uno starnuto per fargli pronunciare la fatidica frase «è finita», coinvolgendo tutti i presenti in questo suo terrore. Divenne amico di Rocco Contangelo, un artigiano che si occupava di impianti elettrici (suo fu l’impianto del nuovo cinema Santalucia inaugurato il 14 aprile del 1955) e che era proprietario di un negozio di elettrodomestici. Con lui Nicola trascorreva il tempo guardando le prime trasmissioni televisive e, durante le poche discussioni, perché Nicola era alquanto taciturno, decisero di costituire una società, la TIC, Tipografia Iannuzziello Contangelo, e di avviare una tipografia.

Le competenze dell’uno e dell’altro si fusero e la tipografia, la prima a Montescaglioso, iniziò a produrre. Nicola ci mise tutto l’impegno e l’esperienza acquisiti durante gli anni trascorsi da meccanico e la sua macchina da stampa, una Balilla, funzionava con la precisione di un orologio svizzero, permettendogli di effettuare, dopo tante prove escogitate al momento con ingenuità e furbizie da bambini, lavori sia per i privati che per gli enti pubblici che spaziavano dai biglietti da visita alle partecipazioni di nozze, dalle locandine di avvisi composti di solo testo agli annunci mortuari, dai manifesti ai blocchetti per appunti, dalla modulistica comunale e le schede elettorali agli intestati delle più importanti aziende agricole, con i blocchi di ricevute dell'oleificio e del mulino fino ai buoni del pane. Per la produzione di marchi e riproduzioni a retino di piccole foto i cliché in metallo si ordinavano a Bari.

Capitava, talvolta, che la macchina si inceppasse e allora, dopo una decina di minuti di bestemmie con le quali Nicola rendeva partecipi del suo momentaneo smarrimento le forze dell’ordine, una non meglio precisata “squadra mobile” e naturalmente Cristo, la Madonna e tutti i santi, con una particolare predilezione per San Rocco, patrono sia del suo paese nativo che di quello di residenza, munito di cacciavite, di tenaglie e di altri attrezzi riusciva con poche mosse a rimetterla in funzione e a rendere vane tutte le maledizioni pronunciate.

Come tutti i tipografi era un perfezionista, pretendeva che la sua macchina funzionasse senza intoppi, come il suo corpo. Così, con il passare degli anni, divenne eccessivamente metodico sia nel mangiare, perché non sgarrava di un minuto il pranzo e la cena che dovevano rigorosamente effettuarsi, il primo, alle 13 e, la seconda, alle 19, sia nel concedersi un po’ di svago dopo una giornata di lavoro. Tutte le sere si recava a cinema, scegliendo alternativamente fra le due sale del paese. Se avesse avuto l’abitudine di scrivere qualche riga sui film visti, le schede del Centro Cattolico Cinematografico non avrebbero più avuto nessuna necessità di essere pubblicate!
Non aveva mai voluto sposarsi e forse proprio per questo riuscì a vivere per parecchi anni, con il passare dei quali aumentava la sua preoccupazione e la sua paura di morire e non era raro vederlo seduto dietro i vetri del balcone di casa della sorella, con la quale abitava, mentre, guardando l’orologio, si teneva il polso contando i battiti cardiaci. Un giorno decise che non aveva più la forza di sostenere il suo corpo e si mise a letto assistito con cura dalla sorella e dall’intervento provvidenziale di una badante rumena tirando avanti fino alla mattina del 19 agosto 2005, proprio alla vigilia della festa patronale di San Rocco, durante la quale, dopo aver fatto colazione all’ora solita, la morte arrivò dolce e improvvisa. Nicola, all’età di quasi 95 anni, chinò la testa e morì, senza avere avuto nemmeno il tempo di dire, questa volta a ragione: «È finita».

 

 

Non è finita
È oggi in atto da parte dei giovani una vera riscoperta della stampa con caratteri mobili. Ne sono testimonianza i progettisti/tipografi dei collettivi Novepunti e Meat (di recente in azione a DesignPer) e workshop come Retype che, interessati alla storia dei caratteri e probabilmente stimolati dalla riscoperta di figure come H.N. Werkman (1882-1945), poeta tipografo olandese, hanno attivato il tirabozze e rimesso in moto le Heidelberg per le loro sperimentazioni.

Bibliografia
Gaspare Fiore, Letteristica, Accademia, corsi programmati per l'insegnamento a distanza, 1976
Robin Kinross, Tipografia moderna. Saggio di storia critica, Stampa Alternativa & Graffiti, 2004
Warren Chappell, Breve storia della parola stampata, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2004

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