Con il 150° dell'Unità d'Italia abbiamo assistito alla scoperta di parole desuete dal sapore retro e un po' fascista, come patria, e a un corale sventolio di tricolori. Le bandiere rimangono un elemento identitario forte, non è un caso che in altri periodi leader-ministri-secessionisti del governo con la bandiera si sarebbero volentieri puliti il culo (che delicatezza!).
È dileggio di un simbolo e della sua storia. Si bruciano, quelle blu con la stella ebraica di Israele o a stelle strisce americane. Il 1° maggio di quest'anno, a Torino, abbiamo visto bruciare quelle a strisce verdi della Cisl e azzurre della Uil. I regnanti, guerrafondai per definizione, non ci fanno mai mancare occasioni per esporre quelle ad arcobaleno della pace, bandiera di protesta, vista le prime volte nelle manifestazioni americane degli anni sessanta a favore dei diritti agli omosessuali.
La bandiera appartiene a una tradizione retorica, è uno strumento dell'organizzazione del consenso facilmente associabile all'assolutismo monarchico e ai regimi totalitari del recente passato.
Ci sono le bandiere imposte dai regimi totalitari e ci sono quelle dei dominati, dei subalterni e dei vinti. La bandiera è stata e continua ad essere espressione di un sentire collettivo: ci sono le bandiere dei moti risorgimentali, delle insorgenze contadine e operaie, delle lotte partigiane e del movimento della pace.
Dispiegare la bandiera rossa ha rappresentato nella storia un atto di coscienza sociale. Le bandiere "sovversive" del movimento operaio e contadino furono predate dagli squadristi del regime di Mussolini per celebrare la vittoria del Fascio sulle spoglie ideali dei vinti, e furono esposte alla Mostra della Rivoluzione fascista (1934) per esprimere disprezzo per quelle insegne e i loro simboli. I 190 vessilli ritrovati da Carla Gobetti furono riordinati e classificati per l'esposizione Un'altra Italia nelle bandiere dei lavoratori nel 1980, allestita in una nuova sezione nel Museo del Risorgimento a Palazzo Carignano, Torino, dove oggi si trovano.
Come risulta dai rapporti dei carabinieri sul movimento anarchico (Ancona, 1913) i vessilli erano spesso l'unico segno di aggregazione; la conoscenza dell'esistenza di certi gruppi era dovuta non alla loro effettiva presenza (spesso non avevano sede in cui riunirsi e contavano ognuno dai dieci ai trenta soci) ma alle bandiere che comparivano in occasione di un funerale o di un corteo. Attraverso le bandiere è possibile ricostruire le vicende interne all'organizzazione che modificano gli orientamenti politici e registrano le tensioni e i contrasti con l'inserimento di altri colori, come avviene con alcune sezioni staccatesi dal Psi e passate al Pci, che variano il campo nero con il campo rosso del vessillo, o come il caso di un circolo repubblicano che adotta il verde in sostituzione del rosso.
Né un soldo né un soldato / né servi né padroni: la bandiera è la testimonianza di un accordo unitario di anarchici e sindacalisti contro la guerra, realizzato in alcune zone d'Italia il 1° maggio 1912. Il vessillo della Lega dei Contadini di Palese è invece intestato al 1° maggio 1920 per ricordare un momento di lotta memorabile a Cerignola.
Dato il basso livello di alfabetizzazione del proletariato, la bandiera con i suoi colori e i simboli riportati assolveva, insieme ai comizi, ad uno scopo di identificazione in cui si riassumono le speranze, gli sforzi, la meta a cui si tende. Nel Mezzogiorno divenne un fattore primario di unione per le associazioni del movimento. Su bandiere rosse, nere, rosse e nere, verdi massoniche e bianche cattoliche, già di per sé significative, si aggiunsero motti e simboli del lavoro, gli strumenti del mestiere o i simboli di certi partiti o movimenti. Solidarietà, fratellanza sono le parole d'ordine di una organizzazione repubblicana. I motti: Proletari di tutto il mondo unitevi riconducibile al Manifesto del partito comunista e Chi non lavora non mangia contrassegna vari momenti della storia del PSI. Liberiamoci dai ceppi della nostra doppia schiavitù è posta sulla bandiera della Lega femminile di Roccabianca.
Oltre alle massime dei pensatori politici, sulle bandiere compaiono i nomi dei leader politici a cui sono intestati i circoli: Marx, Mazzini, Saffi, Costa, Gori, Rosa Luxemburg. Sono in definitiva parole d'ordine, "formule esortative a uscire dal torpore di una rassegnazione atavica, di passare – appunto – dalla natura alla storia. I motti scritti sulle bandiere, così come i simboli del lavoro e della speranza in un futuro diverso e migliore cuciti o tessuti nei vessilli, sono gli stessi che trovano forza nella voce degli operai manifestanti o dei contadini occupanti fronteggianti e colpiti dalle truppe di Bava Beccaris o dai carabinieri di Corleone: un elemento di coesione collettiva che, gridato o parlato o ricamato, offre allo storico il senso della coralità della storia sociale delle masse e, delle singole particolari differenze, la prova della specifica realtà locale nella quale si articola un movimento di dimensioni nazionali e internazionali".
Il repertorio iconografico delle bandiere coincide con quello della grafica politica: oltre agli strumenti di lavoro nel loro valore realistico e ai simboli massonici piegati a un senso politico e sindacale, catene infrante, sole radiante, spighe di grano, berretto frigio, edera, scure, fiaccola, operai in atteggiamenti simbolici, sono tutte immagini di una tradizione figurativa che ha le sue origini in un'arte classica e classicheggiante e costituiscono elementi comuni a bandiere, manifesti, tessere, medaglie, cartoline, testate di giornale... È stato un linguaggio di lotta politica attinto da fonti colte e mediato in vari modi da intellettuali militanti e simpatizzanti, sommando vari elementi, talora modificandoli con interventi innovativi limitati.
Centro Studi Piero Cobetti, Istituto Storico della Resistenza in Piemonte. Un'altra Italia nelle bandiere dei lavoratori. Simboli e cultura dall'unità d'italia all'avvento del fascismo, 1981. Catalogo della mostra. Museo Nazionale del Risorgimento, Palazzo Carignano.
Partito popolare italiano. Sezione di Poggio a Caiano (Firenze). Libertas.
Club operaio Casciavola (Pisa).
Cooperativa di consumo, si costituì a Casciavola il 6 settembre 1883; nel 1898 contava 346 soci, praticamente tutti i capifamiglia del paese. Bianca in segno di pace e di solidarietà, la bandiera riporta l'emblema tipico della mutualità e cooperazione, le due mani che si stringono, derivano dal classico segno della fratellanza massonica. Le fronde di alloro e quercia annodate indicano concordia e forza.
Il dipinto su di un lato della bandiera, rappresenta una coppia di buoi maremmani aggiogati, con un realismo un po' olografico riscontrabile anche in certe fotografie del tempo.
Psi Ascoli Piceno.
La spiga del lavoro fecondo, che sovrasta, disperdendole, le armi infrante, sullo sfondo del "sole dell'avvenire", suggerisce implicitamente altri motti propri dell'antimilitarismo socialista: Pace e lavoro; Pace, pane e libertà.
Lega o cooperativa terrazieri. Bandiera di provenienza ignota. I tipici strumenti di sterro raffigurati consentono di ipotizzare che si tratti di una lega o cooperativa di terrazieri costituitasi nel dopoguerra e, come si deduce dall'iscrizione dei soviet riportata, di orientamento socialista.
Né un soldo né un soldato (recto); né servi né padroni (verso).
Di provenienza ignota, come si deduce dagli strumenti riportati e dal colore nero del vessiillo, si tratta di un gruppo fortemente influenzato dai minatori anarchici. Il recto presenta una spada e un fucile infranti. L'iscrizione "Né un soldo né un soldato" richiama la famosa parola d'ordine contro nuovi stanziamenti per la guerra d'Africa (1887) lanciata da Costa alla Camera dopo l'eccidio di Dogali. Lo slogan di origine tedesca venne rilanciato in tutta Europa dagli antimilitaristi anarchici e dai sindacalisti rivoluzionari contro l'intensificarsi dei conflitti coloniali. Sul verso, vicino agli strumenti del lavoro – martello, piccone e badile incrociati –, campeggia il motto "Né servi né padroni", espressione dell'ideale egualitario socialista. Si suppone che la bandiera sia stata commissionata nel 1912, in occasione del 1° maggio, da un gruppo antimilitarista di qualche zona mineraria, il Grossetano o il Valdarno, dove era stata particolarmente forte la mobilitazione interpartitica contro la guerra.
Mostra delle bandiere dei lavoratori nella sala introduttiva del museo della Resistenza di Torino; in sospensione struttura "nuvola rossa" di Leonardo Mosso.
Progetto allestimento generale: Istituto Alvar Aalto di Torino. Progetto esecutivo della mostra: Leonardo Mosso, Gianfranco Cavaglià. Come nei cortei o sui balconi delle case le bandiere sono state sospese in modo da lasciare lo spazio espositivo di terra libero alla circolazione del pubblico. Dato le condizioni precarie in cui le bandiere sono pervenute, le operazioni di restauro hanno evidenziato i problemi della loro conservazione. Le bandiere sono state sistemate tra due cristalli accoppiati con una serie di accorgimenti all'interno, in modo da consentire la conservazione, la protezione e la loro esposizione. La sospensione trasparente delle bandiere ha consentito di fornire al visitatore sia un impatto emotivo globale, sia una possibile lettura analitica sulla materia, sui simboli, sulla grafica, sulla texture.