Eccoci. Siamo rimasti in tre. Manca un’ora e mezzo alla finale di Arezzo Wave Basilicata. Entriamo nella sala Piko e Aris, che suona le percussioni nella Sit band che accompagna Alea, è alla batteria. Ci dicono che in realtà è lì a giocherellare e sfogarsi già da un bel po’. Poi qualcuno si aggiunge al piano, così lui continua a giocherellare, ma stavolta al microfono. E canta anche bene, oltre a essere un provetto ballerino di reggae music. Vado a farmi un giro. Quando torniamo trovo nuovamente lui, stavolta con Pasquale, il trombettista della band, che guarda un vecchissimo video su youtube: James Brown al Teatro 10 di Cinecittà. Storia. Cercano di imitarne lo stile e i movimenti e c’è da dire che il risultato non è neanche poi così fallimentare.
Intanto decido di importunare il tastierista Giuseppe con un vero e proprio terzo grado sulla storia di Alea e della Sit band. E dopo il suo racconto capisco come mai si percepisca una così grande sintonia sul palco tra tutti loro, tanto che sembrano essere una specie di famiglia. Mi dice che tra la band e Alea si è creato un rapporto tale per cui l’amicizia viene quasi prima dell’aspetto musicale. E infatti tutto questo rimane intatto e si trasferisce, come una fotocopia, quando sono insieme sul palco. Guardiamo insieme il bellissimo video di Motivetto, girato a Burano in un tripudio di colori. Dopo l’esibizione incontro Alessandra e non è contenta: «Ho cantato tutto il giorno a un matrimonio – dice – e stasera ero senza voce». In realtà a noi altri sembra sia andato tutto benissimo: le sue qualità e quelle della Sit band si confermano notevoli.
Mentre prendo una birra prima dei live incontro i Bytecore. Mi raccontano di una data al Contestaccio a Roma e che stanno suonando parecchio in giro in questo periodo. Oggi ancora di più mi è chiaro che sono ragazzi molto determinati, sanno esattamente quello che vogliono e lo fanno nel modo in cui vogliono. Sono più carichi e pronti che mai e stasera salgono sul palco indossando, oltre alle maschere, delle camicie nere con cravatta. Superano in energia la performance della semifinale al punto che il tastierista sembra davvero invasato: si lascia travolgere dalla musica che gli passa attraverso il corpo, si agita senza sosta e a un certo punto salta giù al palco, cosa che più tardi ripeterà il bassista. Se la batteria fosse uno strumento mobile, probabilmente anche il batterista lascerebbe il palco per scendere tra la folla. Come nella semifinale, dunque, la loro esibizione si conferma una sorta di mini-show in cui si va oltre il semplice ascolto.
Gli Epochè, invece, appena mi vedono scoppiano a ridere ripensando al contrasto tra la loro percezione dopo la semifinale e il risultato ottenuto. «Se ci penso credo che abbiano premiato il nostro stile – commenta il cantante/chitarrista Daniele – forse è quello che i giudici hanno apprezzato, al di là dell’esecuzione che ha avuto degli intoppi». Stavolta per fortuna suonano senza sfighe. Dritti verso la vittoria, dritti verso Milano.
Il lo-fi degli Epochè alla finale nazionale
È una delle giornate più calde che Milano abbia mai visto: credo ci siano più di quaranta gradi. Quando arrivo a Parco Forlanini trovo i ragazzi ad un chiosco che bevono, non senza sofferenza, della birra che presto suderanno tutta. Sono rilassati. Parliamo naturalmente del viaggio, di come gli sembra la città, di dove alloggiano. Arriviamo così a parlare della finale lucana, di come è andata, di quello che stanno facendo ora e, inevitabilmente, ci soffermiamo sul disco in cantiere. «Appena torniamo giù a casa – dicono – ci prenderemo solo qualche giorno di pausa e poi ci dedicheremo subito alla registrazione dell’album. Compatibilmente con gli impegni di tutti (tra esami universitari e lavoro) abbiamo intenzione di concludere il prima possibile: entro agosto vorremmo aver finito. Anche perché di solito, se c’è un’idea di base che funziona, non ci impieghiamo molto tempo a scrivere o a maturare un brano che ci soddisfi. Naturalmente ci sono periodi in cui si è più o meno ispirati ma nel complesso siamo contenti di come stiamo lavorando. Abbiamo già otto tracce e un pezzo nuovo pronto, che è un “pezzone” – sottolinea Leo – ma lui non lo vuole fare», indica sorridendo Daniele, il chitarrista/cantante. È piuttosto evidente che sia lui il rompipalle, il perfezionista del gruppo: ce n’è uno in ogni band. E Leo precisa: «Non ci vogliono altri aggettivi, non è né un perfezionista né niente: è un rompipalle e basta!».
Raccontano poi che ultimamente sta capitando spesso che gli venga consigliato di scrivere in italiano. «Ce lo stanno dicendo in molti, sia nel nostro ambiente sia quando ci è capitato di spostarci, ad esempio a Bologna per la finale del Capitalent», il contest per band emergenti di Radio Capital che li ha visti arrivare, anche lì, in finale. «Personalmente – spiega Mattia – non riuscirei a immaginare il nostro genere in italiano, anche per come nascono le linee vocali di Daniele. Ormai la musica è un linguaggio sempre più universale in cui i confini geografici sono diventati quasi inesistenti – aggiunge il cantante – e sappiamo tutti che l’inglese è attualmente la lingua più diffusa e compresa nel mondo. Dunque, al di là del fatto che istintivamente i pezzi nascono così, ci sembra anche una scelta sensata quella dell’inglese, per rendere la nostra musica più spendibile e comunicativa possibile. Comunque mai dire mai, vedremo cosa succede, potremmo anche inserire almeno un pezzo in italiano nel disco». «In ogni caso – aggiungono gli altri – per ora rimarremo, naturalmente, sulla nostra linea anche perché non abbiamo ancora testato il vero potenziale di questo progetto, se funziona davvero. Il disco sarà un passaggio fondamentale».
Parliamo di synth e strumenti elettronici e gli chiedo se il fatto che non li usino, ora che a usarli sono praticamente tutti, sia una scelta ben precisa o meno. «Adesso sì, è diventata un scelta. All’inizio semplicemente abbiamo cominciato suonando ciò che avevamo, in base solo agli strumenti di ognuno, ma dopo un attimo abbiamo avuto subito chiaro in testa quello che volevamo fare, che tipo di musica ci rappresentasse. Così ora sentiamo di non avere bisogno di altro: ci piace questa formazione, ci sentiamo completi così. Abbiamo anche tentato di inserire una chitarra elettrica in un pezzo, ma niente, non ci stava proprio, o almeno a noi è sembrata fuori posto. Forse è questo che ci caratterizza: l’essenzialità e l’apparente povertà di strumenti. Anche da questo punto di vista però non escludiamo niente, magari in futuro potremmo cambiare idea: la musica, come ogni cosa, è in continua evoluzione, è normale volersi rinnovare, voler scoprire cose nuove. Il cambiamento ci sta».
Mi sembrano molto tranquilli, molto più sorridenti e rilassati di quando li ho conosciuti in terra lucana. «Di solito l’ansia arriva un quarto d’ora prima del live», dice Mattia. «Poi c’è anche da dire che adesso cominciamo pian piano ad abituarci a suonare dal vivo. Quando ci hai conosciuti – ricorda Attilio – era praticamente la nostra prima esibizione. E poi ci stiamo conoscendo meglio e questo incide molto, visto che suoniamo da pochissimo insieme e la nostra storia come gruppo è davvero molto breve». Scopro infatti che non sono amici di vecchia data, come uno si aspetterebbe, soprattutto considerando che sono tutti dello stesso paese. Non sono di quelli che a un certo punto si sono messi a suonare nel garage di un amico perché spesso è quello che si fa da adolescenti. Loro si sono incontrati e conosciuti per suonare: tutto è nato da Daniele che ha coinvolto Mattia perché voleva provare a dare un ritmo ai suoi pezzi voce e chitarra, e così poi sono arrivati Leo e Attilio.
«Siamo tranquilli anche perché siamo già molto soddisfatti di essere arrivati fin qui. È già un grande risultato. Poi è importante avere obiettivi come questo: prepararsi per la finale di un contest ti aiuta a rimanere concentrato ed essere più produttivo, il che non è sempre facile considerando che ci sono anche il lavoro e lo studio. Ed è utile non solo per non perdere di vista gli obiettivi, ma anche perché partecipare ai contest finora ci ha fatto avere molti feedback positivi. Avere un riscontro rispetto a quello che si fa ti dà una mano a non demoralizzarti e a pensare 'Dai, allora forse non siamo poi tanto male!'». Sorridono.
Gli chiedo se e quanto è cresciuto il seguito che hanno, ad esempio dopo Capitalent, e Attilio mi dice che sicuramente senza il passaggio su Radio Capital di The second song le visualizzazioni su Youtube non sarebbero cresciute così tanto e che anche sui social network, oltre che in Basilicata, stanno avendo una buona risposta in questo momento.
Scherziamo sul fatto che oggi inizieranno l’esibizione con un pezzo nuovo che però non ha un titolo: «Si chiama “Pezzo nuovo”», mi dicono. Ridiamo. Alla fine gli tocca trovare un nome per compilare il borderò Siae. E così, su due piedi, il brano diventa “Lake song”, dal nome del palco su cui suoneranno, il lake stage appunto. Sono un po’ delusi dal fatto che non suoneranno sul main stage, l’organizzazione ha infatti diviso le band partecipanti in tre palchi diversi. Suonano però in una bella cornice, con il laghetto di parco Forlanini sullo sfondo e soprattutto con un pubblico di aficionados ad ascoltarli perché a un certo spunta un pezzettino di famiglia di Mattia, sole nel sole, calore nel calore. Un soundcheck veloce, i suoni sul palco e fuori si settano velocemente mentre gli Epochè suonano un pezzo di prova, non è un check vero e proprio. I ragazzi sono un po’ perplessi ma spesso nei contest è così. La presentatrice li introduce, una breve intervista e l’esibizione comincia.
Il sole è alto e la vernice del violino di Leo quasi si squaglia con quella temperatura, si suda per fino a ruotare l’orientamento del cellulare per fare le foto. L’unica cosa fresca sono i quattro pezzi degli Epochè: Lake song, The second song”, Divine, World town. Il primo brano – “Pezzo nuovo” – è interessante e orecchiabile. All’inizio il violino si sente poco, ma fortunatamente va tutto a posto subito, mentre basso e batteria procedono sicuri. Il fischio di “The second song”, quello che ti entra in testa e che subito ti ritrovi a canticchiare, purtroppo si sente poco, ma va bene comunque. Daniele alla voce è sempre sorprendente: c’è un abisso, come succede per tanti cantanti, tra il modo in cui parla e quello in cui canta. La performance spacca e anche loro, quando ci parlo dopo, sono stranamente soddisfatti, al di là di qualche piccola incertezza che è inevitabile. Il pezzettino di famiglia di Mattia si emoziona. È un momento bellissimo, del resto il batterista non ha nemmeno diciotto anni, ed essere alla finale nazionale di Arezzo Wave è un ottimo risultato.
Continuiamo a sfidare la realtà sahariana bevendo birra Moretti tra le zanzare che ci divorano e ora non resta che aspettare. Il verdetto sul vincitore arriverà a ottobre ma noi intanto, da buoni “epochè”, sospendiamo il giudizio.