Carpon carponi, strisciando lentamente e avanzando a zigzag sul soffice e colorato tappeto del soggiorno, il piccolo Rocco s'imbatté in una gamba nera e luccicante. Non era lo stivaletto di pelle scura e matta della mamma, la cui voce matura e intensa gli giungeva dalla cucina: non gli era mai capitato di vedervi riflesso un volto in movimento e, comunque, mai quella gamba restava silenziosamente immobile quando si sforzava di abbarbicarsi ad essa aggrappandosi ai lembi della lunga gonna di seta e cercando di raggiungere la posizione eretta.
Provò ad avvinghiarsi a quell'oggetto di legno freddo e spigoloso per tentare di sollevarsi sulle natiche. Era la prima volta, da quando aveva iniziato le sue esplorazioni, che s'imbatteva in un oggetto riflettente e oscuro allo stesso tempo e non lo avrebbe mollato facilmente. Il primo tentativo lo rimandò supino sul pavimento. Lo scacco subìto accrebbe in lui la voglia di riprovarci, e così si dispose sulle ginocchia e con le due piccole mani aggrappate diede un vigoroso colpo di reni. Immediatamente fu in piedi, ma batté dolorosamente la testa a una tavola orizzontale e rovinosamente ricadde, piagnucolando non poco.
– Rocco, dove sei?
chiese la madre dalla cucina, e, il cesto di vimini con la verdura tra le mani, si affacciò in salotto, ma vedendolo calmato dalla sua presenza, tornò a mondare le cicorielle che lo zio Emanuele le aveva portato tornando dalla passeggiata mattutina tra i campi di periferia. Era con lui che conversava amabilmente mentre il bambino procedeva nelle sue esplorazioni quella mattina tiepida d'Aprile.
La frustrazione dell'insuccesso accese nel piccolo esploratore la tenacia e la determinazione tipica dell'età, e così, provando e riprovando, finalmente fu ritto sui due piedi, barcollante e felice, e passò ad aggrapparsi alla tavola che prima lo aveva steso a terra.
Ma, meraviglia delle meraviglie, la tavola parlò, emise un suono grave e terrificante come il rumore di un tuono. Con gli occhi sbarrati il piccolo guardò l'oggetto da sinistra a destra e scoprì un'immensa bocca con tanti denti bianchi come quelli della zia Elena quando sorridendo lo prendeva tra le braccia; ma la bocca spalancata esibiva stranamente tanti nasini neri leggermente in rilievo.
Ripresosi dallo stupore, affondò la mano destra su uno di quei denti che emise un suono meno terribile ma altrettanto misterioso. E fu così che volle sperimentare tutta la lunga serie dei tasti del pianoforte, traendone suoni sempre più dolci man mano che avanzava verso la parte centrale della tastiera e suoni che assomigliavano al carillon posto sul suo lettino mentre si spostava all'estremità opposta da cui era partito. Si divertì con questi ricavandone cinguettii di uccellini e campanelli di caprette al pascolo.
La scoperta lo rese felice e raggiante, e alla mamma, che era accorsa e dalla soglia lo guardava meravigliata e sorridente il primo giorno della sua posizione eretta, regalò un sorriso per raccontarle la sua scoperta e la bruciante curiosità che quei suoni gli avevano trasmesso.