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Angelo Tataranno*, 20 settembre 2011, ore 00:00

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L'operaio Emilio Castelluccio al tornio, 1969.

Mentre camminavamo a passo lento, Annina mi ha stretto il braccio con la mano libera, nell'altra teneva il bouquet di fiori bianchi. Insisteva a stringermi il braccio. Per un po' ho pensato al male in agguato: mi sono venuti i brividi. Ma lei ha avvicinato il viso sulla mia giacca come per nascondersi. È stato a quel punto che ho percepito il suo pianto trattenuto. Le ho detto di smettere, ché avrebbe potuto piangere comodamente quando saremmo rientrati a casa. Ha smesso quando ci è riuscita, e mi ha sussurrato che lei non piange per scelta, ma quando le viene.

Una storia raccontata in un romanzo è o può essere anche una pagina di storia senza iscriversi al genere del romanzo storico? A leggere l'opera di Peppe Lomonaco la risposta è certamente affermativa.
Una storia fatta di storie in un contesto storico situato sul finire degli anni '60, con il fenomeno del boom economico, sullo sfondo di una città dell'Alta Italia o dell'Altra Italia, come allora si diceva con un ghigno tra l'ironico e il risentito.
Una storia raccontata in prima persona da un giovane, non ancora maggiorenne, trapiantato dalle campagne di una piccola realtà del sud nella metropoli milanese, sradicato dalle abitudini e dallo standard di vita fatta di numerose attività agricole o para-agricole, e inserito con slanci di entusiasmo nella realtà di una fabbrica metalmeccanica, fatta di tempi, di cronometristi, di produzione, di sindacato, di racconti di vecchi partigiani, di formazione di coscienza politica.

Emigrato tra emigrati, il giovane protagonista sperimenta la vita in uno scantinato adibito a casa, per una famiglia numerosa, e l'insorgere di nuove esigenze fino ad allora ignorate o inesistenti. L'esperienza entusiasta per un lavoro sicuro, fisso, e regolarmente retribuito con busta paga, intrecciata all'uscita precoce dall'adolescenza e all'innamoramento tragicamente totalizzante di una giovane segnata dall'epilessia.
L'impressione che se ne ricava è quella stessa che si prova davanti ad una vecchia fotografia ingiallita, una foto di tanti anni fa, ma non di antenati. Una fotografia dei tempi di una giovinezza passata ma non trascorsa, dalla quale si possono registrare, attraverso il confronto con l'oggi, le numerose differenze di costumi, di comportamenti, di mentalità intervenute in un lasso di tempo storicamente breve.

Il confronto tra questo ieri e questo oggi dà l'idea di un passaggio d'epoca che, a differenza di quel che si percepisce per epoche lontane, la storia non sembra aver camminato in direzione di una evoluzione positiva, ma sembra accennare a forme di regresso apparentemente inspiegabili. Forme di regresso che, nei giudizi contrapposti dell'oggi, addirittura non vengono percepite come tali in modo universale, e che anzi alcuni individuano con le "magnifiche sorti e progressive", di leopardiana memoria.
Questa storia Peppe Lomonaco la presenta mentre un referendum tra gli operai della Fiat aderisce alla volontà del padrone, sotto il peso del ricatto tra disoccupazione e peggioramento delle condizioni di lavoro. Non sono certo mancate anche nel passato situazioni analoghe, basti pensare alla "marcia dei quarantamila", ma il conteso ed i protagonismi contrapposti avevano, allora, connotazioni diverse.

È diffusa oggi la convinzione che la storia corra più rapidamente che nel passato, ma è altrettanto diffusa la convinzione che il rapido mutare dei tempi finisca col confermare l'assunto gattopardesco del "cambiare tutto per non cambiare niente!".
Se la legge dello sfruttamento rimane il perno sul quale si fonda il rapporto tra le classi sociali ed è l'unico regolatore delle relazioni sociali, può essere di qualche consolazione l'apparente uniformità culturale sostenuta e propagandata dai modelli televisivi che diffondono una distorta idea di uguaglianza nel momento in cui le classi sociali ed i cittadini sono ridotti all'unica dimensione di consumatori?
Sono questi gli stimoli e le riflessioni che Peppe Lomonaco, con una scrittura semplice e discorsiva, alternando patos, satira e ironia, inserisce nello svolgimento della trama di questo romanzo la cui lettura può risultare stimolante sia per i giovani che sembrano aver perso la voglia di lottare, sia per gli adulti che furono protagonisti di lotte ormai archiviate.

*tratto dall'introduzione del libro di Peppe Lomonaco È stata una lunga giornata, L'urlo del sole, 2011.

Peppe Lomonaco (Montescaglioso, 1951) ha pubblicato: Visite eccellenti (Energheia, Matera, 2000); Una mattina mi sono alzato (Libreria dell’Arco, Matera, 2003); Cespugli (Sena Nova, Senigallia, 2009). È tra gli autori di Partenze da fermo (Libreria dell’Arco, Matera, 2007), A lavoro ci devo comunque andare (Altrimedia, Matera, 2009), Formiche Rosse (Betti Editrice, Siena, 2009).

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