
Mi è capitato fra le mani, in maniera quasi rocambolesca, un libricino con una curiosa copertina dai colori cupi e scuri (quelli che utilizzavano gli artisti pre-romantici che avevano abbracciato la poetica del "sublime"). Aspettavo pazientemente, seduto nella sala d'attesa dell'aeroporto di Bari, l'arrivo dell'aereo che riportava a casa mia figlia per le vacanze natalizie, quando una sconosciuta ma affascinante signora lasciò repentinamente il suo posto per scomparire fra la moltitudine di persone che stava guadagnando l'uscita. La fretta le fece cadere di mano un piccolo libro che precipitò fino a fermarsi davanti ai miei occhi. Lo raccolsi e cercai di raggiungere l'attraente signora, che, nel frattempo, si era dileguata. Iniziai a girare e rigirare il libricino fra le mani e non mi decidevo ad aprirlo. Qualcosa mi impediva di sfogliarlo e non capivo cosa finché, all'improvviso, quasi come in un sogno, l'immagine di copertina iniziò a colorarsi con i colori del dipinto "Città che sale" (del futurista Umberto Boccioni) fino a trasformarsi nelle ardite e fantastiche prospettive dell'architetto futurista Antonio Sant'Elia. L'immagine visionaria delle architetture di Sant'Elia mi riportò alla realtà e, tornato diligentemente al mio posto, iniziai, finalmente, a sfogliare le pagine, sempre diligentemente, una dopo l'altra ma senza trovare il coraggio di incollare gli occhi sulle parole per iniziare a leggerle. La mente era troppo occupata all'immagine di copertina, era come se fossi finito in un sogno senza aver chiuso gli occhi, senza che mi fossi addormentato.
La curiosità vinse l'oblio e finalmente gli occhi iniziarono a scorrere quasi meccanicamente sulla prima pagina, quella della prefazione che, quasi sempre ignoro, per leggerla quando ho finito di leggere tutto il libro.
L'inizio è autobiografico: l'autore confessa: "Non mi è mai piaciuto essere guida di percorsi. Ognuno ha la sua vita, la sua strada ... preferisco dare uno spunto, ... o magari raccontare una storia". Mi fermo e ripeto a me stesso "o magari raccontare una storia".
Corro subito all'ultima di copertina per informarmi sull'autore. È giovane, piccolo o forse è gia uomo nell'anima e nel cuore. Ha 25 anni, fra un po' sarà medico, e vive nel bergamasco anche se nelle sue vene scorre sangue che sa di terra arsa e bruciata, quella che conoscono bene i nostri agricoltori quando le piogge stentano a cadere. "Madre bergamasca e padre calabrese, la sintesi perfetta dell'Italia unita e solidale nata dal Risorgimento e dalla guerra di Liberazione" penso mentre leggo la breve biografia dell'autore. Riprendo a leggere e, rigo dopo rigo, pagina dopo pagina, resto rapito da una scrittura gradevole, immediata nella comprensione, leggera e piacevole come i capolavori degli acquerellisti inglesi del XVII e XVIII secolo.

Il racconto si snoda attraverso la descrizione di sogni che si rincorrono nell'assecondare i desideri sopiti e nascosti nei labirinti più profondi della psiche. Quando si sogna può accadere di tutto e tutto può sorprenderci proprio come succede al nostro protagonista: ambiguità e polivalenza iniziali caratterizzano l'atmosfera e, come in un film, fotogramma dopo fotogramma, tutto schiarisce e diventa limpido e terso come in certe giornate primaverili dopo una copiosa pioggia che ripulisce l'aria. La realtà del risveglio, però, è sempre meno felice dei sogni perché riporta alla consapevolezza di se stessi fino a far dire al nostro personaggio: "Preferisco dolore e rabbia che l'orrore dell'apatia. L'indifferenza è ciò che mi spaventa, urla che sono morto".
Il protagonista vive momenti di esaltazione, forse perché si scopre di colpo maturo, in un'atmosfera intrisa di cronache swing e dixieland, accompagnate dalla calda e indimenticabile voce del grande Fred Buscaglione, che ha fatto sognare l'Italia della fine degli anni cinquanta mentre si avviava verso il benessere economico.
I sogni, magistralmente narrati dal giovane scrittore, hanno un filo comune che conduce alla ricerca dell' "io" che è e non di quello che appare, con tutte le incertezze e i turbamenti che accompagnano la consapevolezza di chi si avvia verso la maturità (l'approdo al proprio porto). La scrittura è catartica e lo è ancor più se la si utilizza per raccontarsi e farsi raccontare anche attraverso sogni fatti ad occhi aperti.
Paolo Villaggio, nella sua Storia della libertà di pensiero, conclude con un'amara riflessione: "Purtroppo, è facile prevedere che una nuova terribile, invisibile e subdola forma di dittatura ci riporterà in pochi anni a quella comoda condizione della assoluta mancanza di libertà di pensiero. Forse saremo più felici, ma vivremo incatenati in lunghe file a costruire le nuove piramidi". Fino a quando alle persone sarà concesso di scrivere liberamente e fino a quando ci saranno "narratori di fiabe e racconti", come lo è Domenico Soriero, questo rischio rimarrà relegato nelle preoccupanti riflessioni del bravissimo Paolo Villaggio.
Domenico Soriero ha scritto una magnifica fiaba.
*Architetto, ordinario di Storia dell'Arte presso il Liceo Artistico "C. Levi" e l'Iis "Isabella Morra" di Matera
Commenti
Finalmente un pò di pace per poter leggere!!Sarò scontata nel dirti che la frase che mi ha colpito di più è questa, lottare contro l'iapatia dovrebbe essere il primo insegnamento per i nostri alunni e il motore della nostra e della lora vita!
Ma che fa molto riflettere a riguardo.
Complimenti professore.
Direi che il minimo è supportarlo diventandone fan: www.facebook.com/pages/La-strada-verso-il-porto/197167107031417
Continua così.
Complimenti per la recensione. Intrigante e profonda.
Non ho letto il libro qui in commento e non conosco l’Autore ma una cosa, più di altre mi colpisce, prima ancora dell’eloquente, affascinante e raffinata descrizione dell’attesa in aeroporto: la continuità generazionale tra il Professore che commenta, quasi facendo propria (ed arricchendo di significati) l’esperienza narrativa dell’Autore (classe 1986) e la consapevolezza del “sé” che, seppur celata, innegabilmente si dipana in ogni pensiero dei DUE, “la terra, gli affetti, il passato” da uno all’altro e vice versa….
Fortuna che la maturità (lato sensu) slitta sempre più in là, a rimorchio di un miraggio futuribile (citazione)….la meta, il fine della riflessione quotidiana, la ricerca dell’uomo.
Leggerò il libro
f.to Lass£nzi0
Complimenti Filippo!
Tre amici fuggono dal caos.
Sovrastati da Dio.
Luci opache illuminano i loro volti.
Preghiere lontane contaminano il silenzio.
La natura li avvolge.
La civiltà ai loro piedi.
E li, in quel tepore d’affetto ti confessi, ti scavi senza timore, piangi e ridi. Ti senti un tutt’uno con loro e il tuo ambiente.
E allora il cuore rallenta il suo galoppo
Il respiro, non più affannoso, si fa profondo
La testa, prima pesante, ora, diviene leggera.
E solo allora, dopo tanto tempo, si ricomincia a respirare.
In quei pochi istanti ti ricarichi, divieni nuovamente la persona che eri e che sei ancora.
È questo che provo ogni volta che sento la tua voce e quella di pochi amici.
Mi getto di testa nel mio mare dove sguazzo nudo e libero, urlo e rido, con la gioia nel cuore, con l’amore nel cuore.”
“Stare lontani tanto tempo da casa ti cambia. Le fondamenta su cui basi la tua vita diventano fragili e sottili. Dimentichi le certezze, divieni una persona debole che si fa comprare facilmente.
Inizi a vivere per vivere non a vivere per un fine.
Facce che vedi ogni giorno sono sempre nuove.
Luoghi che vedi ogni giorno sono sempre nuovi.
Dimentichi le tue origini, dimentichi coloro che ti sorreggono, dimentichi ciò che provi quando sei a casa. Il dolce tepore di qualcuno che ti accudisce e ti culla è solo un vago ricordo, diviene un mito non sai più se è realtà o fantasia.
Ti confesso che per alcune cose odio la nostra terra, ma, in fondo, è il luogo in cui trovano casa sicura le mie origini. Angoli di città che conosco a memoria, ricordi che riemergono guardando una panchina, un portone, un negozio. Tutto questo da senso e forza alla mia Odissea.
E così come un albero sradicato dal suo ambiente e reimpiantato in uno nuovo fatica a trovare un nuovo equilibrio, un uomo combatte e combatte per farsi spazio e determinarsi nella nuova realtà.
Esistono, eccome, sogni irrealizzabili ma certe volte, mi sembra, che, piano piano, stiano rendendo irrealizzabili anche quelli che realizzabili lo sono. La velocità e la competizione sociale allontanano da noi ciò che ci rende individui unici: la nostra terra, i nostri affetti, il nostro passato. Ciò che una persona, naturalmente vuole, si confonde e si intreccia con ciò che vuole e che è meglio per l’io sociale. Terrorizzati del fallimento sopprimiamo ciò che vogliamo e quindi ciò che siamo, viziando irreversibilmente ciò che saremo. Persi, girovaghiamo senza meta, senza un fine. Iniziamo a vivere per il presente, a testa bassa, per cercare di non vedere, che la meta che tanto bramiamo, in realtà, non esiste.
Il libro racconta di un percorso, un viaggio nella mente e nell’inconscio. Cercare di ricostruire se stesso sulle rovine dell’io passato. Credo sia solo dalla ricerca dell’io che ognuno di noi potrà ritrovarsi e soddisfare ciò che sono i suoi veri desideri, coltivare ciò che sono le sue più profonde speranze, tutto questo per raggiungere il proprio “porto”.
P. s.: ho rintracciato l'autore del racconto, gli ho inviato una mail su questa mia recensione e mi piacerebbe leggere una sua riflessione su quello che è stato scritto.
Onirico e surreale, dalla lettura piacevole, questa recensione mi ha trasportata in un'altra realtà aiutandomi a capire come il nemico da combattere sia dentro ognuno di noi, che forse è possibile rinascere riconoscendo l'amore rinnegato e perduto, perché forse non è mai troppo tardi...!