Cristoforo Magistro, 27 luglio 2012, ore 09:00

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Re Umberto I in una vignetta satirica tedesca dopo la repressione dei moti di Milano del 1898.

Nel 1913, in occasione della campagna elettorale per le prime elezioni a suffragio universale, a Montescaglioso, in un componimento satirico del "partito di sotto" che sostiene la candidatura a deputato di Nicola De Ruggieri contro Francesco D'Alessio – l'ambiziosissimo astro nascente della politica lucana che non potendo ancora, per la giovane età, presentarsi personalmente agli elettori ha pensato bene di mandare in parlamento, a tenergli il posto, il vecchio agrario bernaldese Gaetano Guida – il fatto sarà rievocato così:

... nun t'arrucuord' u' fatt' d' u nuvantott'
L' pauriedd s' n' sciern nda u' quarantott
E l' capr non forn' mangh' annuminat'.1

...non ti ricordi cosa accadde nel '98,
i poveracci finirono nel '48 (nei guai, ndr)
e i capi non furono neppure nominati.

Cosa era accaduto a Montescaglioso nel 1898, di così grave da poter esser confrontato alla repressione dei moti del 1848 in Italia e in tutta Europa?

Le uniche fonti di cui disponiamo sono le cronache che ne danno Il Lucano e La Basilicata, due giornali regionali. Il primo nell'articolo "Sommossa a Montescaglioso" scrive:

Alle ore 5 circa 600 contadini dopo aver rotto il telegrafo, al grido di evviva i Sovrani e di abbasso il Municipio gridavano: vogliamo lavoro.
Alle ore 7 preceduti dalla bandiera nazionale si recarono al municipio e lo invasero e col pretesto di trovare la bandiera, ruppero mobili, vetri, tavoli, ecc.
I RR Carabinieri del luogo insieme a varie guardie municipali e campestri impedirono la distruzione dell'archivio. Quindi una parte dei rivoltosi penetrati nell'attigua pretura la scassinarono bruciando le carte dell'ufficio di cancelleria.
Dopo passarono all'ufficio della ricevitoria del registro, sito pure nell'istesso locale, e distrussero il vecchio archivio.
Sono stati fatti 76 arresti.2

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Moti di Milano del 1898, detti anche "Protesta dello stomaco", corso di Porta Venezia con le truppe schierate (Luca Comerio).

Oltre a informare dell'arrivo di carabinieri, soldati e giudici, l'articolo spiega la sommossa con l'esasperazione dovuta alle numerose contravvenzioni forestali e alla tassa bestiame deliberata dal consiglio comunale. A smentire questa ricostruzione, arriva tre giorni dopo una lettera del sindaco Andriulli che afferma: le contravvenzioni "non esistono e la tassa bestiame c'entra come il cavolo a merenda".3 A integrazione delle prime notizie, lo stesso giornale precisa nella successiva corrispondenza che gli arresti sono saliti a 105, che l'agitazione era cominciata il giorno prima con assembramenti davanti alla casa del capo del partito di opposizione e che durante la nottata gruppi di dimostranti avevano girato per il paese dicendo a tutti di non andare in campagna.
All'alba del 10 gennaio, dopo aver tagliato i fili del telegrafo, si creano posti di blocco a tutte le uscite. Verso le sette la folla si avvia verso il municipio dove il sindaco, alcuni consiglieri, il segretario comunale, i carabinieri e le guardie municipali sono riuniti in attesa degli eventi. Il portone d'accesso è stato chiuso, ma davanti alle minacce di sfondamento, il sindaco fa sapere che è disposto a ricevere una delegazione di dimostranti che illustri le ragioni della protesta. Così si fa, ma appena la commissione è ricevuta si riaccendono i tumulti e le grida contro la disoccupazione e la tassa che ha portato al rincaro del pane.
Un'importanza tutta particolare i dimostranti, circa un migliaio secondo il cronista, danno alla bandiera la cui consegna chiedono insistentemente, ma ricevutane una la strappano. Non è una bandiera qualunque che vogliono, ma quella ufficiale, "quella di cinquemila lire". Ed è ciò che si affannano a cercare quando, incuranti degli squilli di tromba e delle minacce di aprire il fuoco, forzato il portone d'ingresso e superata la resistenza della forza pubblica, invadono gli uffici al primo piano. Arrivati nella sala consiliare intimano al sindaco di dimettersi, non lo vogliono più e hanno già pronto chi lo sostituirà.
Si tratta di un notaio, Rocco Luigi Nobile, che ha accettato di capeggiare la dimostrazione dopo che il vero capo del "partito di sopra", il cavalier Carlo D'Alessio, si è reso irreperibile. Il notaio, dello stesso partito, è stato meno prudente, ma non è certo uno sprovveduto. Ex consigliere provinciale, appartiene, infatti, anche lui a un mondo adulto, un mondo – per dirla con Paolo Conte – "dove si sbaglia da professionisti" e, infatti, prima di mettersi alla testa del corteo prende le sue precauzioni facendo arrivare a sindaco e carabinieri un biglietto così concepito:

Il sottoscritto, minacciato da una turba di popolo furente, invoca l'assistenza dell'Autorità di pubblica sicurezza per essere tutelato nella persona e negli averi e si protesta di ogni danno che possa venirgli.4

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Achille Beltrame, Episodio dei moti rivoluzionari alla Foppa, olio su tela, 1898.

Il sindaco, Giovanni Andriulli, è in carica da 22 anni e non si lascia intimorire dalla folla. Sa che a soffiare sul malessere dei contadini c'è un'opposizione talmente debole – le famiglie D'Alessio-Salinari e Nobile – da non aver concorso neppure per la minoranza nelle precedenti elezioni amministrative e non è disposto a cedere Palazzo Sant'Angelo senza opporre resistenza. Cinta la fascia tricolore, invita tutti alla calma e per essere più convincente impugna una rivoltella. Assisterà alla distruzione degli arredi e per qualche ora si prenderà insulti e strattonamenti, ma avrà il buon senso di non sparare.
Intanto altri dimostranti invadono l'ufficio del registro e la pretura dove un contadino si siede sullo scranno pretorile dicendo: "Oggi sono io il giudice". Prelevano poi gli incartamenti che vi si conservano – fra cui quelli "dell'archivio antico" – e in parte li buttano nella cisterna del primo chiostro, in parte li danno alle fiamme. A tumulto cessato nei corridoi dell'abbazia si conteranno i resti di venti falò.
Il notaio e due dei suoi figli, arrestati con l'accusa di istigazione, saranno liberati una settimana dopo anche grazie al biglietto di cui si è prima detto e alla volontà di non infierire sull'avversario da parte del partito Andriulli in vista di future alleanze. La stessa sorte toccherà anche a una trentina degli altri fermati subito dopo i fatti; in 74 saranno invece trattenuti in carcere e giudicati per rivolta sediziosa, incendio e saccheggio. Non sappiamo chi fossero né cosa sarà di loro, ma a più riprese i giornali parleranno di un centinaio di famiglie rovinate da quei fatti.

Un ispettore del ministero dell'interno, giunto due giorni dopo, accerta che al moto era estranea ogni ispirazione socialista e riparte immediatamente. Il sovversivismo borghese che pure ha fatto da esca a questa vicenda, il sovversivismo dei galantuomini che già ha insanguinato la regione con il brigantaggio e che tornerà a imperversare nel primo dopoguerra, qui e in tutta la penisola, fino a trovare il suo naturale sbocco nell'avvento del fascismo, era una prospettiva d'indagine non prevista dagli ordinamenti di polizia.
Fra i vari si dice riguardo agli ispiratori della rivolta si accennerà agli eterni rivali della vicina cittadina di Bernalda che sarebbero stati particolarmente colpiti dall'imposizione della tassa bestiame in quanto coltivatori di terreni nell'agro di Montescaglioso, ma non residenti nel comune. La voce sarà smentita dal fatto che duecento bernaldesi, proprio per alleggerirsi dall'aggravio, avevano qui trasferita la residenza prima dei tumulti. Duecento persone legate al gruppo di potere municipale da un preciso interesse e per il resto estranee alla vita della comunità, duecento persone che, secondo le richieste dell'amministrazione in carica, votano o si astengono influenzando pesantemente i risultati elettorali, saranno per oltre un ventennio causa di corruzione e disordine nelle già turbolente politiche locali, ma questa è un'altra storia.
Esclusa ufficialmente l'istigazione del notaio Nobile, la ricerca dei mandanti è affidata all'azione della magistratura cui si chiede da parte del partito Andriulli non solo di punire ma di "far luce" sui responsabili come dando per scontato che le cose possano andare invece diversamente. Ma, istigatori a parte, quanta gente ha partecipato alla rivolta?
Per N., corrispondente de "La Basilicata", non ci sono dubbi. L'intera popolazione è insorta "per gli arbitri medioevali e il fiscalismo da corsari del Municipio" e la calma non potrà tornare con le baionette dei soldati, ma con la giustizia nelle amministrazioni. I colpevoli non stanno fra la folla che grida "Abbasso il Municipio" e "Viva il Re" e magari saranno processati con l'accusa di anarchia, ma fra "i tirannelli locali intenti a dar di piglio agli averi altrui" e che per il pericolo corso saranno nominati cavalieri o commendatori dopo aver sfruttato la "fausta" occasione della rivolta per far arrestare un centinaio di loro nemici.5
Per il sindaco invece  "la popolazione (in corsivo nell'originale, ndr) di Montescaglioso rimase perfettamente estranea al malefizio, alla sceleraggine del 10 gennaio. La popolazione si addimostrò col contegno o con la tranquillità sua di stringersi tutta ai suoi amministratori" e ad ammutinarsi fu solo "la bordaglia (ciurmaglia, canaglia, ndr) dei pregiudicati, il fecciume degli abietti". Non più di duecento persone; curiosi, illusi e ragazzini compresi. Né risponde al vero che i manifestanti inneggiassero al re e alla regina - a farlo erano stati soltanto dei ragazzini- dei quali avevano anzi rotto un quadro.6
Dell'episodio parlerà anche Il Corriere della Sera criticando gli arresti di massa e l'inerzia del sottoprefetto che sarà collocato a riposo per non averlo saputo prevedere e fronteggiare.7
La Basilicata ospiterà interventi di vario segno sull'accaduto. In uno si dice che Montescaglioso ha solo dato, forte e chiaro, un segnale del malessere che pervade l'intera regione dove ogni tanto fra l'apparente ordine in cui si vive "sinistramente si sprigionano baleni e tuoni. Le autorità si lusingano di poter smorzare il fuoco chiudendo con una manata di fango qualche crepaccio rosseggiante e, ingenue, non si accorgono che sotto ai piedi si aduna e freme, terribile e minacciosa, la lava di un immenso vulcano".8 Su una linea più decisamente radicale si colloca un altro commentatore: i responsabili del suo malessere sono i grandi proprietari terrieri, la nuova oligarchia che ha sostituito l'antica aristocrazia feudale. Un'oligarchia che "ha piena la bocca, ma non il cuore, di repubblica, di progresso, di sentimento umano, di carità cristiana, è a questa che son dovute le più angosciose miserie del nostro ceto contadinesco, i contratti agrari a ferro e fuoco, il socialismo a rovescio nell'imposizione delle tasse comunali, la dissipazione dei beni patrimoniali dei municipi e delle opere pie, le vessazioni barbare e le inumane esazioni."
Per un terzo corrispondente invece Montescaglioso ha una delle migliori amministrazioni della provincia, i suoi componenti sono "ricchi ed onesti, curanti soli del bene pubblico e degli interessi dei cittadini i quali mai han mosso una doglianza" ed è stato grazie al loro intervento che l'aggressione al sindaco non è precipitata in tragedia. Il cattivo raccolto dell'anno precedente, la crisi monetaria, il disagio economico, le tasse sproporzionate, hanno creato il "malcontento universale" che investe non solo la Lucania - dove la povera gente ha dovuto rinunziare anche al pressoché suo unico alimento, il pane e la pasta di grano, per cibarsi di patate e farina d'orzo o di mais - ma l'intera penisola.9 Se a Montescaglioso la folla, prendendo a pretesto il rincaro del pane, aveva attaccato municipio, pretura ed ufficio del registro, era solo perché questi erano i soli centri potere costituito alla propria portata. E quella che doveva essere un'innocua dimostrazione, a causa della psicologia delle masse – spiega il notista citando La folla delinquente del criminologo Scipio Sighele - che fa sì che al loro interno prendano il sopravvento gli elementi più violenti, si era trasformata in sommossa.10

Questa, in estrema sintesi, la cronaca giornalistica di quanto accadde nel comune lucano, unico nella regione a entrare in sintonia con il sentimento nazionale in quell'anno terribile.
Questa, in estrema sintesi, la cronaca giornalistica di quanto accadde nel comune lucano, pressochè l'unico nella regione in sintonia con il sentimento nazionale. Più precisamente si può dire che Montescaglioso anticipa e Picerno chiude nella regione le rivolte di quell'anno terribile. Nel comune potentino infatti il 27 novembre sarà ucciso dai carabinieri il contadino Rocco Antonio Faraone, di 38 anni, nel corso dell'assalto al municipio11. Come è noto, infatti, la protesta dilagherà violentemente in tutto il paese nei mesi primaverili; si trattava, dirà il giornalista Pompeo Colajanni per sottolinearne il carattere spontaneo e disorganizzato, di una "protesta dello stomaco". Ma il governo del marchese Di Rudinì le attribuirà caratteri rivoluzionari e come tale la stroncherà facendo intervenire l'esercito. La strage di Milano, dove furono uccisi dalle cannonate di Bava Beccaris almeno cento persone, è la più nota, ma non fu l'unica. I giornali nazionali fra l'aprile e il maggio riportano allarmati bollettini delle convulsioni che scuotono il paese senza distinzioni fra nord e sud, paesi e città, centri industriali e zone agricole. Bollettini da guerra civile.
All'assurda e ferocissima repressione sul campo seguirono le azioni dei tribunali militari e civili che erogarono pene detentive per oltre tremila anni. Ne furono colpiti dirigenti anarchici, socialisti e repubblicani, ma anche cattolici. Ne fu colpita soprattutto la gente comune, i senza nome che formavano – si scrisse nelle sentenze – la "folla delinquente".

Un canto popolare di Minervino Murge, nato per l'occasione, rende bene l'idea delle dinamiche che l'animavano:12

E lu jurne de la Madonne
Re uagnarde si scevene a 'sconn'
E lu jurne de l'Angurnete
Menerveine s'è revultete
E curreite curreite uagneune
Sciamm'a jardi la Chemmeune
La Chemmeune avimm'jars'
Sciamm'a jard'a l'agend' 'le tass'
Mò ni sciamme sotte sotte
Sciamm'a jarde u Malignott'
Mò n'ascennimme da li Capeceine
Sciamm'a jarde allu muleine
Mò ni sciammi chiazza chiazz'
Sciamm'a jard'e 'Manuele Pricchiazz'

Ma è una cronaca de La Stampa sulla sommossa di Bari del 2 aprile che ne dà la più vivida e terribile rappresentazione. "Bisogna averla veduta... – precisa il cronista – bisogna averla veduta per non poterla più dimenticare". In prima linea le donne, "scarmigliate, livide, rauche, feroci come iene", una fiumana improvvisa scaturita dai rioni della città vecchia, "dai sottani luridi, dagli antri, dai vicoli oscuri e remoti, dove le pattuglie vanno mal volentieri, una folla immensa di donne urlanti e imprecanti, si rovesciò per il corso Vittorio fino al palazzo della Prefettura. Queste donne avevano piccoli bimbi in braccio, li portavano rozzamente, arditamente, come un fucile, pronte a infilzarli sulle baionette dei soldati; e in una mano tenevano una lattuga, ironico simbolo del nutrimento a cui il popolo era condannato!".13
A fronteggiare quelle masse cui la fame ha tolto ogni tratto di umanità sarà inviato il generale Pelloux che farà arrivare nel porto della città di San Nicola una cannoniera. Fortunatamente non entrerà in azione.

1. Archivio di Stato di Matera, Fondo De Ruggieri, busta Montescaglioso.
2. Cfr. Sommossa a Montescaglioso in Il Lucano del 10 gennaio 1898.
3. Lettera del sindaco Andriulli in Il Lucano del 15 gennaio 1898.
4. Cfr. Lettera del sindaco Andriulli in La Basilicata del 27 febbraio 1898.
5. L'ordine regna a Varsavia in La Basilicata del 14 gennaio 1898.
6. Cfr. Lettera del sindaco Andriulli in La Basilicata del 27 gennaio 1898.
7. Echi lucani inLa Basilicata del 27 gennaio 1898.
8. Echi lucani inLa Basilicata del 13 febbraio 1898.
9. Cit. Echi lucani del 23 gennaio 1898.
10. Cit. Echi lucani del 13 febbraio 1898.
11. Cfr. Il Lucano del 5/6 dicembre 1898.
12.Giovanni Rinaldi, Il canzoniere di Giuseppe Di Vittorio. Canti sociali e politici di Capitanata, Microstorie.
13. Le gravi condizioni delle Puglie. La sommossa di Bari, cfr. La Stampa del 4 maggio 1898.

 

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Re Umberto I, ucciso nel 1900 per vendicare le vittime dei moti del 1898.

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