Il primo mattino del primo di agosto, al primo botto di bomba all’oscuro da 18 cm di diametro, il cuore incomincia a battere forte forte forte forte forte. Primo per lo spavento e secondo perché entra nel movimento della festa in onore del Santo protettore. Il ritmo incalzante dell’ottavino della Bassa musica montese che annuncia l’avvio dei festeggiamenti, sposta la frequenza dei battiti verso una piacevole e sostenibile tachicardia. Dal primo al 27 agosto il mio cuore è nella mano destra di San Rocco, quella sulla colonna in piazza, tesa nel gesto di controllo della potenza devastante delle energie naturali e delle forti emozioni umane che terremotano la vita.
Appartenendo ai restanti, cioè a quelli che forse saggiamente continuano a vivere dove sono nati, il cuore si allarga nel rivedere gli amici e i parenti emigranti condividendo una passeggiata per il corso, sotto l’illuminazione, a fare il pieno di coraggio per sopportare la lontananza. Alto è il costo della felicità per un cuore in fuga da casa; nel paese costa tutto di meno, la casa e la felicità si trovano a un buon prezzo, vedi il pane e il vino per esempio.
Il cuore diventa a organetto diatonico entrando nella cucina della festa tra gioia e sacrificio: timballo o pasta al forno? Poi arrivano i cannelloni ripieni di mistici misti di carni e formaggi a innovare le tradizioni. La carne d’agnello alla brace o nel ramone in forno a legna: chi vuole il cervello della capuzzella? Quaranta gradi all’ombra e 240° vicino ai fornelli è la più ricercata sofferenza che una casalinga desidera ardentemente infliggersi per amore, solo per amore, con tutto il cuore; nell’attesa che termini l’accalorata processione del mattino, il sedano lavato, l’anguria al fresco nell’acqua fresca, il vino fresco dalla cantina, i taralli fatti in casa e l’ muscuottl cu shcutur, nocelline, semi di zucca e semi di girasole, lo spumone con la ciliegia prima del caffè, l’amaro all’ultimo, la tavolata è pronta? A base di pesce non ricordo nemmeno un san Rocco su sessantasei; da vegetariano, invece, sedici.
Il tempo di ricaricare le batterie tra una pennichella e una sbirciatina ai social, ed ecco che il Carro tirato a lucido è già pronto a partire per il sacro giro del circuito cittadino, trainato dai superbi cavalli bardati a festa.
A mezzanotte e mezza il carro si è ritirato, l’orchestra ha suonato, il buio è calato, il fuochista ha chiamato, l’ultimo atto della festa è iniziato.
Uomini con una vocazione pericolosa corrono il rischio calcolato della vita per metterci al cospetto della bellezza ineffabile dell’arte effimera della pirotecnia. Su la testa allora a vedere i disegni colorati e a sentire le esplosioni ritmate delle bombe a crociera con "sfere", "cannelli", "stelle" e "colpo scuro", e poi controbombe o cacciate, intrecci, pigliate, fino al finale esplosivo e travolgente della batteria di coppie intreccio e controbomba che ci lascia storditi e a bocca aperta.
San Rocco, il mio cuore nella tua mano spera e implora come un bambino che le bombe siano sempre quelle dei fuochi d’artificio e non le bomblets di quelle “a grappolo” sganciate con lucida follia, stoltamente, senza bellezza spirituale nel cuore e nell’anima, immoralmente insieme a cannonate di cattiveria, da lupi voraci come banchieri che per un niente senza ragione, fanno la guerra riducendo in un mortaio gente e terra.
Un altro giro di giostra, prego.