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Rachele Giosa, 23 ottobre 2011, ore 11:00

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Monica. Il suo desiderio è quello di riunirsi a cena con la famiglia ed essere protettiva e generosa con i suoi figli.


Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento.
Henri Cartier-Bresson

L’obiettivo cattura e ferma sulla pellicola, nel continuo divenire delle cose, un istante. E diventa ricordo.
Parte dal grande potere evocativo che le foto, uno dei pochi oggetti che le detenute possono tenere in cella, rivestono per i prigionieri l’esperienza vissuta dai fotografi argentini del Grupo Mirada Photo di Cordoba presso un carcere femminile di massima sicurezza.

Anche se stropicciate, strappate, ingiallite, le istantanee, oltre che rappresentare un sollievo alla sofferenza del momento, rimangono per queste donne un forte legame con il passato e ne istituiscono uno con il futuro, in grado di annullare il dolore del presente. Paradigmi di un oggetto, ieri perduto e agognato per il domani, diventano sinonimo della libertà stessa. Oggetto del desiderio di ogni detenuto.
Proprio sulla libertà è incentrato, infatti, l’originale progetto finale conclusivo dei quattro mesi di corso: la realizzazione di composizioni digitali costituite da un collage di tre diversi elementi. Il vagheggiamento dell’idea di libertà di ogni singola reclusa (spazi aperti, l’oceano, una campagna dell’infanzia) suggerisce ai fotografi professionisti la creazione dell’immagine che funge da sfondo alle singole composizioni; i ritratti delle detenute (nei ruoli quasi sempre di mogli o madri, o addirittura in quello provocatorio di sante protettrici) sono scattati dalle donne stesse, oggetto e soggetto della riproduzione fotografica; le foto dei componenti della famiglia (mariti, ma soprattutto figli), custodite da ciascuna, vengono scansionate e combinate con le prime due rappresentazioni.

Questo gioco di sovrapposizioni, in cui la tecnica professionale finisce per combinarsi col puro dilettantismo delle corsiste, se non può essere considerato un prodotto artistico vero e proprio, nonostante l’arte nella sua accezione contemporanea sia strettamente connessa alla capacità di trasmettere emozioni, è il prodotto di una nobile funzione rieducativa, sociale, in un certo senso catartica, che in questa circostanza, come espressione dei più profondi sentimenti, bisogni, ideali di ciascuna donna, la fotografia esercita.

 

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Andrea non ha una foto di famiglia. Il marito, poche settimane prima, è stato ucciso in strada da un ufficiale di polizia. Andrea riunisce la sua famiglia ritagliando e incollando tre foto, due delle quali scattate nelle sale di visita della prigione.

 

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Gloria, da una foto consumata di suo marito, con il collage realizza il sogno di essere con lui in Plaza San Martìn.

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