Licenza Creative Commons

Se hai bisogno, dimmelo

Cristoforo Magistro, 02 ottobre 2016, ore 19:00

191 piazza roma montescaglioso
Montescaglioso, piazza Roma, febbraio 1970.

Le miniere a cielo aperto, le infinite potenzialità narrative nascoste nei piccoli centri di provincia hanno trovato un loro esploratore in Peppe Lomonaco, un appassionato di storie di gente comune che ha raccolto una sessantina di interviste di persone nate o residenti nel suo paese, Montescaglioso. Il frutto della sua ricerca è confluito nella raccolta intitolata Se hai bisogno, dimmelo. Il titolo, estrapolato da una delle testimonianze, vuole evidenziare il clima comunitario e solidaristico in cui quelle vite si sono svolte e, nello stesso tempo, dar conto del tono colloquiale che caratterizza la raccolta.
Per quanto riguarda il mestiere o professione, abbiamo la seguente situazione: cinque agricoltori, nove artigiani, due braccianti, due commercianti, un docente universitario, un frate missionario, un impiegato, due imprenditori, due insegnanti, ventiquattro operai, un pastore, un sindacalista, due tecnici e tre trasportatori. Tali qualifiche si riferiscono a quella che è stata l'attività prevalente – tutti hanno fatto mediamente due o tre altri lavori – mentre adesso moltissimi sono pensionati.

Editoria e cultura a chilometro zero

Cristoforo Magistro, 17 agosto 2014, ore 11:00

183-strade-cover-3d

Negli ultimi anni un crescente numero di persone ha cominciato a dedicarsi alla narrazione del nostro territorio soprattutto attraverso la forma del racconto o del romanzo. Personalmente credo che questo sia un fatto positivo, un elemento che dà la misura dell'attaccamento alla propria terra e alla propria storia. Non ci si interessa a ciò che ci è indifferente, a ciò che non sentiamo. Ben vengano quindi tante altre opere di ispirazione paesana o regionale. C'è posto per tutti.

Odio mia madre

Cristoforo Magistro, 11 ottobre 2013, ore 18:00

178-naturamorta-de-pisis
Filippo De Pisis, Natura morta nello studio, 1931.

Si presentano qui le pagine di apertura del romanzo inedito Con il fritto nei capelli di Giovanna De Simone, che ha concorso alla prima edizione, tenutasi questo anno, del Premio letterario Matarazzo organizzato dalla Pro Loco di Montescaglioso.
Si tratta di una narrazione quasi esclusivamente al femminile poiché la scena è prepotentemente occupata dalla protagonista, Tina, e dalla di lei odiatissima, a parole, madre. Una madre regina della cucina e detentrice di saperi culinari, senso pratico e pregiudizi da terrona che non ha nessuna voglia di integrarsi nella città del Nord dove vive da una trentina di anni e dalla quale la protagonista crede di volersi emancipare detestando tutto ciò che questa fa dice, pensa. Per lo meno fino a quando...
Un romanzo che ben rappresenta la condizione, e le contraddizioni, della generazione tardo-adolescianziale dei trenta-quarantenni attuali e che si legge con piacere e divertimento.

Odio mia madre.
Odio quella sua parlata meridionale anche se è trent'anni – trent'anni cazzo – che abitiamo al Nord e lei è ancora lì che non si fa capire al telefono, che inventa le parole, che pretende che solo la sua sia la maniera giusta di parlare.
Odio il suo modo di vestire un po' da mercato, un po' al passo con la moda ma presa in maniera sobria, odio i suoi twin-set coordinati a pantaloni rigorosamente con zip laterale, odio le sue scarpe basse Valleverde, le sue calze San Pellegrino colore Daino 4°misura, i suoi foularini blu o a pallini bianchi e blu.
Odio l'oro, i collier, gli anelli a più strati sulle dita, l'orologio a maglia fina, le collanine con medagliette di santi inutili, gli orecchini
a clips perché le si sono chiusi i buchi vent'anni fa e lei ha la pelle così sensibile che tutto le fa infezione.
Odio le sue sopracciglia disegnate ad arco tutti i giorni con la pinzetta, i fondotinta troppo scuri, il rossetto color mattone, le matite per le labbra e mi viene la nausea a sentire solo l'odore di Chanel numero 5.

Da Capo del Piano alla fabbrica

Filippo Bubbico*, 26 settembre 2012, ore 12:00

167-federico patellani
Federico Patellani, Milano, 1945.

Marzio Pieri, uno dei più grandi critici letterari viventi, ha così scritto di Peppe Lomonaco:

Il mio incontro con Lomonaco fu dei massimamente fortuiti; una famiglia di suoi parenti (nacque e vive Lomonaco a Montescaglioso, presso Matera, la città dei Sassi) abitava sullo stesso pianerottolo di un diruto ma magniloquente edifizio settecentesco nel quale a carissimo prezzo, e non trovando di meglio, vissi dieci anni nella per me sempre inospitale Parma.
[...] Ho divagato; venne Lomonaco dai suoi e non so come fecero a farmi sapere che, per diletto, 'scriveva'. Mi sentii gelare ma cortesia voleva che io dessi una occhiata al dattiloscritto. Riconobbi, con gioia (falsa è l'immagine del critico lettore che gode a strapazzare e deprimere i possibili concorrenti, ci sono falsi critici come falsi profeti ma, per chi non si rende loro complice, riconoscibili da poche, sempre uguali caratteristiche; ad esempio la fiducia che un buon libro si legga tutto d'un fiato; ...), la presenza d'un comico naturale insolito; e lo incoraggiai a continuare. La sua storia d'un passaggio da Matera del re piccino Cagoja, al quale i provveditori della città costruiscono una macchina-cesso degna di tanto sedere, e che, per calcolo errato, pulisce al re il mostaccio invece del culo sabaudico, mi fa scoppiar le trippe ogni volta che la rileggo (Visite eccellenti si chiama il libro; e Lomonaco ha ora i suoi fans). Siccome il cervello non si placa mai, costretto a improgrammabili accostamenti, ci ho dovuto ripensare vedendo il bellissimo film di Bellocchio, Vincere (la visita del re nanerottolo a Mussolini ferito, dissero gravemente, certo non abbastanza, sul Carso, e s'ebbe un anno e mezzo di licenza, chissà quanto soffrendo per la lontananza dal campo dell'onore) [...]. Una meraviglia, dove Lomonaco, fosse magari anche per un'unica volta (ma non me lo auguro) mostra di aver capito la lezione essenziale: scrivere non è gravare la pagina di segni oscuri, si scrive sottraendo. Aria fra le parole, difficoltà essenziali nel trapasso da una frase all'altra, nelle sconnettiture del terreno ricco di dentro più che di fuori.

La strada verso l'aero/porto

Filippo Bubbico*, 03 marzo 2012, ore 11:00

154-copertina_w360
Domenico Soriero, La strada verso il porto, ed. AltroMondo, 2011. Frammenti della copertina.

Mi è capitato fra le mani, in maniera quasi rocambolesca, un libricino con una curiosa copertina dai colori cupi e scuri (quelli che utilizzavano gli artisti pre-romantici che avevano abbracciato la poetica del "sublime"). Aspettavo pazientemente, seduto nella sala d'attesa dell'aeroporto di Bari, l'arrivo dell'aereo che riportava a casa mia figlia per le vacanze natalizie, quando una sconosciuta ma affascinante signora lasciò repentinamente il suo posto per scomparire fra la moltitudine di persone che stava guadagnando l'uscita. La fretta le fece cadere di mano un piccolo libro che precipitò fino a fermarsi davanti ai miei occhi. Lo raccolsi e cercai di raggiungere l'attraente signora, che, nel frattempo, si era dileguata. Iniziai a girare e rigirare il libricino fra le mani e non mi decidevo ad aprirlo. Qualcosa mi impediva di sfogliarlo e non capivo cosa finché, all'improvviso, quasi come in un sogno, l'immagine di copertina iniziò a colorarsi con i colori del dipinto "Città che sale" (del futurista Umberto Boccioni) fino a trasformarsi nelle ardite e fantastiche prospettive dell'architetto futurista Antonio Sant'Elia. L'immagine visionaria delle architetture di Sant'Elia mi riportò alla realtà e, tornato diligentemente al mio posto, iniziai, finalmente, a sfogliare le pagine, sempre diligentemente, una dopo l'altra ma senza trovare il coraggio di incollare gli occhi sulle parole per iniziare a leggerle. La mente era troppo occupata all'immagine di copertina, era come se fossi finito in un sogno senza aver chiuso gli occhi, senza che mi fossi addormentato.

Bellissimo. Come ci vedono gli americani

Mauro Bubbico, 16 febbraio 2012, ore 17:00

153-bellissimo
Louise Fili e Lise Apatoff, Italianissimo, the quintessential guide to what italians do best, Little Bookroom, 2008.

Italianissimo è un libro di notizie e consigli utili al turista reale o immaginario per conoscere la cultura, le tradizioni, le virtù e gli stereotipi italiani (a cominciare dal rimando di copertina, il cappuccino), ricco di schemi, illustrazioni e fotografie d'epoca. È edito da Little Bookroom; il design è curato da Jessica Hirsche.

È stata una lunga giornata

Angelo Tataranno*, 20 settembre 2011, ore 00:00

131-emiliocastelluccio
L'operaio Emilio Castelluccio al tornio, 1969.

Mentre camminavamo a passo lento, Annina mi ha stretto il braccio con la mano libera, nell'altra teneva il bouquet di fiori bianchi. Insisteva a stringermi il braccio. Per un po' ho pensato al male in agguato: mi sono venuti i brividi. Ma lei ha avvicinato il viso sulla mia giacca come per nascondersi. È stato a quel punto che ho percepito il suo pianto trattenuto. Le ho detto di smettere, ché avrebbe potuto piangere comodamente quando saremmo rientrati a casa. Ha smesso quando ci è riuscita, e mi ha sussurrato che lei non piange per scelta, ma quando le viene.

Una storia raccontata in un romanzo è o può essere anche una pagina di storia senza iscriversi al genere del romanzo storico? A leggere l'opera di Peppe Lomonaco la risposta è certamente affermativa.
Una storia fatta di storie in un contesto storico situato sul finire degli anni '60, con il fenomeno del boom economico, sullo sfondo di una città dell'Alta Italia o dell'Altra Italia, come allora si diceva con un ghigno tra l'ironico e il risentito.
Una storia raccontata in prima persona da un giovane, non ancora maggiorenne, trapiantato dalle campagne di una piccola realtà del sud nella metropoli milanese, sradicato dalle abitudini e dallo standard di vita fatta di numerose attività agricole o para-agricole, e inserito con slanci di entusiasmo nella realtà di una fabbrica metalmeccanica, fatta di tempi, di cronometristi, di produzione, di sindacato, di racconti di vecchi partigiani, di formazione di coscienza politica.

L'editoria italiana ha nascosto le idee liberali

Florindo Rubettino, 20 agosto 2011, ore 20:00

130-grafiche_editoriali
1.2.3. I Delfini Bompiani (Uff. Graf. Int.); 4.5. I Delfini Bompiani (Aurelia Raffo); 6. I Delfini Bompiani, versione attuale (Studio Arcoquattro); 7. Armando Armando Ed. (Sergio Vezzali); 8. Armando Ed. versione attuale (Giuseppe Rampazzo); 9. Editori Riuniti (Giuseppe Montanucci); 10. Editori Riuniti, versione attuale (Uff. Graf. Int.); 11. Valentino Bompiani (Uff. Graf. Int.); 12. Arnoldo Mondadori (Uff. Graf. Int.); 13. Arnoldo Mondadori, versione attuale (Bob Noorda); 14. Giangiacomo Feltrinelli Ed. (Albe Steiner); 15. Feltrinelli, versione attuale (Bob Noorda); 16. Biblioteca Universale Rizzoli (John Alcorn).

Disegnare il libro. Grafica editoriale in Italia dal 1945 ad oggi, Grafis Edizioni, 1989.

La crisi culturale, economica, morale che investe il nostro paese ha delle cause ben precise: una società fondata sul privilegio e non sul merito, sul corporativismo stratificato degli interessi e non sulla competizione, sull'ideologia che per anni ha portato a ritenere che il mercato fosse un male e che l'intervento della politica nell'economia fosse la strada per correggere le iniquità e fondare una società più giusta, che la libera impresa fosse un'entità da imbrigliare e tenere sotto controllo piuttosto che un potente fattore di innovazione e di energia positiva, che lo Stato dovesse diventare sempre più grande e che le politiche di debito pubblico avrebbero garantito un benessere diffuso. Sappiamo tutti quanto queste ricette abbiano fallito e come oggi di tutto questo paghiamo le conseguenze. Lo stesso Mamet, riferendosi alla situazione del suo Paese, ne è ben consapevole. Ma lo scarso appeal che parole e concetti come merito, competizione, società aperta hanno avuto nella scuola e nella società italiane è ben più clamoroso ed è il riflesso di un'egemonia culturale che è passata anche attraverso l'editoria libraria, dove per decenni si è vissuto un vero e proprio ostracismo nei confronti di autori e teorie non ritenuti politicamente corretti.

Federico Scialpi, il sogno e la ricerca

Filippo Bubbico*, 18 aprile 2011, ore 16:00

97-klee_cosiunsogno
Paul Klee, Così un sogno, disegno 1930.

Tratto da Maurice Henry, Antologia grafica del surrealismo, Mazzotta editore

 

Fra i generi letterari quello poetico è il più indicato a sollecitare nel lettore, in maniera soggettiva, quelle sfere dell'emotività che, partendo dall'anima, arrivano direttamente al cuore. La poesia spinge la fantasia alla ricerca di sensazioni indescrivibili non perché ricca di stucchevoli sentimentalismi quanto, piuttosto, perché le parole danzando leggere, una dopo l'altra, e, disponendosi ordinatamente al proprio posto come in uno schema geometrico compositivo di Paul Klee, trasmettono al lettore una infinità di sensazioni che toccano tutte le sfere sensoriali.

W la squola pubblica

Franco Mazzoccoli, 26 marzo 2011, ore 13:00

84-classi1_4

 

Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 33. L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. [...]
Art. 34. La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. [...]

Dalla Costituzione della Repubblica Italiana


Mio zio Mario, insegnante elementare prima, direttore e ispettore didattico poi, aveva l’abitudine, ogni volta che aveva la possibilità di stare con me, di farmi domande, anche in latino e in greco, per conoscere il mio grado di apprendimento. Una volta, non ricordo più per quale motivo, pronunciai la parola exodus con l’accento sulla o. Mi fece subito notare che exodus si pronunciava con l’accento sulla e. Gli risposi, con arroganza e prepotenza, che al telegiornale avevano detto proprio exòdus e quindi anch’io mi sentivo autorizzato a pronunciare allo stesso modo. Guardandomi con benevolenza, ma anche con rimprovero perché mi chiedeva di ragionare e di fare tesoro di ciò che avevo imparato a scuola, mi disse: «Sì, però tu hai studiato!»